Secondo Anselmo la giustizia in senso morale è quella per cui si genera lode e, come tale, ha sede nella volontà dell’uomo: è una rettitudine della volontà. Le condizioni necessarie perché si dia giustizia sono almeno due: volere ciò che si deve, volere ciò che si deve perché si deve. Queste condizioni sono sufficienti solo se il dovere non è sinonimo di costrizione e non risulta strumentale a ottenere un premio.
Anselmo giunge infine a definire la giustizia come la rettitudine della volontà serbata per se stessa. Tale definizione è valida anche per Dio, in quanto la rettitudine è Dio stesso.
Catapano sottolinea come l’insistenza nel concepire la giustizia come «volere ciò che si deve perché si deve» denoti un’impostazione deontologistica e rigoristica che contraddistingue, e per certi versi isola, la posizione di Anselmo nel panorama etico medievale, dove invece prevale un paradigma eudemonistico.